Stupro di Piacenza: si torna a chiedersi perché i cittadini non intervengono?

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Stupro di Piacenza: si torna a chiedersi perché i cittadini non intervengono?

Il caso dello stupro di una donna ucraina da parte di un richiedente asilo della Guinea ha destato viva impressione in questi giorni, sia per le eclatanti modalità con le quali è stato perpetrato (in mezzo a una strada del centro città di Piacenza, seppur all’alba), sia poi per le strumentalizzazioni politiche che sono seguite.

Ricordiamo sinteticamente che, dopo il crimine, è stato possibile per le forze dell’ordine (intervenute in pochi minuti) identificare e arrestare lo stupratore perché un cittadino, dal proprio balcone di casa, accortosi di quanto stava accadendo ha provveduto a dare l’allarme telefonicamente ed è stato, poi, in grado di fornire una descrizione del criminale, che ha anche filmato con il proprio telefonino.

Per qualcuno, come già avvenuto a Civitanova Marche, questo non è abbastanza: per esempio per il noto giornalista Roberto D’Agostino, che sul proprio blog Dagospia esclama, senza mezzi termini: “a Piacenza una 55enne ucraina che camminava per strada è stata buttata a terra e stuprata da un richiedente asilo della Guinea di 27 anni, arrestato poco dopo – la violenza sessuale è stata ripresa dal cellulare di un uomo affacciato alla finestra (che si è ben guardato dall’intervenire e aiutare la poverina) – il video, diffuso online, è stato rilanciato sui social da Salvini e da Meloni che hanno riproposto le questioni sicurezza e immigrazione – ma la questione centrale è: come cazzo si fa a riprendere uno stupro, restare a guardare e non muovere un dito?”.

Inevitabilmente si pongono alcune questioni, per cercare di rispondere alla elegante domanda posta da D’Agostino.

La prima è una constatazione: per anni, tutti i principali giornalisti e politici di centro-sinistra hanno ripetuto come un mantra, un dogma incontestabile, che il cittadino non si doveva fare “giustizia da sé”, che non c’era bisogno del cittadino “sceriffo” e che, quindi, bisognava lasciar fare alle forze dell’ordine. Per anni abbiamo ribattuto che senz’altro bisogna lasciare fare alle forze dell’ordine in tutti i casi nei quali ciò sia possibile, ma che vi sono anche circostanze nelle quali l’atto criminale, l’aggressione, si consuma in frazioni di minuto e che, quindi, per quanto sia tempestivo l’arrivo delle forze dell’ordine (che, comunque, non possono evidentemente essere avvisate dall’aggredito, durante l’aggressione stessa), arrivano a cose fatte. E a cose fatte, vuol dire troppo tardi.

Ed è in quelle circostanze che opera la scriminante giuridica della legittima difesa. A quanto pare, sia nel caso di Civitanova Marche, sia nel caso di Piacenza, questo fatto comincia a fare capolino nella consapevolezza, finora inscalfibile, degli illustri commentatori e anche di qualche politico (persino di sinistra!). Questo è un bel passo in avanti: alla fine, persino “loro” sono arrivati a capire che la legittima difesa è una cosa “diversa” dal “farsi giustizia da sé” e che mentre si attende l’arrivo delle forze dell’ordine, guarda un po’, può anche avvenire l’irreparabile. Bravi. C’è voluto il sangue sulle strade, ma persino voi l’avete capito. Sette più!

Adesso però non potete contestare al cittadino di aver fatto esattamente quello che gli avete ripetuto di fare per decenni. Glielo avete detto e ripetuto fino all’inverosimile, lo ha fatto.

La seconda questione è relativa al fatto che in Italia, molto semplicemente, se da un lato è vero che si registra un aumento sensibile dei casi di aggressività manesca tra i giovani (giovani che, tra l’altro, manifestano anche la preoccupante tendenza a girare sempre con il coltello in tasca…), è altrettanto vero che il cittadino medio, magari di mezza età o avanti con gli anni, semplicemente non è abituato a questo tipo di violenza bestiale: non è, di conseguenza, istintivo correre in soccorso della vittima né viene spontaneo contrapporsi a un soggetto giovane, muscoloso, aggressivo, palesemente avvezzo a menare le mani e a prendersi ciò che gli pare, quando gli pare. Non è questione di essere paurosi o coraggiosi, si resta, banalmente, impietriti.

Né tantomeno si può stigmatizzare il fatto di aver ripreso la scena con il telefonino, seppur sia invece da stigmatizzare il fatto che il filmato sia stato successivamente diffuso sui social (parzialmente oscurato e non è ancora chiaro da chi sia stato diffuso). Il cittadino ha ritenuto (correttamente) che il suo contributo potesse essere quello di fornire un riscontro documentale dell’accaduto alle forze dell’ordine. Le quali, è opportuno ricordarlo, in occasione dell’omicidio di Civitanova Marche hanno sottolineato che i filmati girati dai presenti (oggetto di un vero linciaggio mediatico) sono stati preziosi.

Occorre, anche, sottolineare un altro fatto tutt’altro che trascurabile, anche se oggi si continua pervicacemente a far finta di niente: il cittadino che si difende, o che cerca di difendere un’altra persona, in Italia oggi non è tutelato. Poniamo il caso che il testimone fosse sceso in strada, avesse affrontato lo stupratore: cosa sarebbe accaduto? Due gli scenari possibili: lo stupratore lo avrebbe pestato o accoltellato, ferendolo o uccidendolo (perché, banalmente, non solo più giovane o più atletico, ma anche più abituato alla violenza di strada), oppure lui avrebbe messo l’aggressore in condizioni di non nuocere. Ma come? Ovviamente a propria volta colpendolo, a mani nude o con qualche strumento di circostanza. Bene. Poniamo a questo punto il caso che lo stupratore avesse subito lesioni gravi o, Dio non voglia, fosse caduto sbattendo la testa e ci fosse rimasto secco. Una gravissima perdita per la società, ma anche un grosso guaio per il cittadino, costretto a difendersi da un’accusa di omicidio preterintenzionale, con conseguenti decine di migliaia di euro da spendere in avvocati, consulenti tecnici di parte eccetera, “spalmati” per anni e anni di contenzioso giudiziario. Se avete un senso di deja vu, probabilmente è perché ricordate la vicenda di Graziano Stacchio, il benzinaio che sparò per difendere la dipendente di una gioielleria durante una rapina e che fu poi riconosciuto aver operato nei confini della legittima difesa, ma non senza aver dovuto “investire” 40 mila euro tra avvocati e periti. Con l’attuale legge sulla legittima difesa si potrebbe, oggi, essere risarciti, ma intanto… bisogna averceli.
Con il conforto degli stessi commentatori che oggi si chiedono “come cazzo si fa a non muovere un dito” che, ne siamo certi, sarebbero pronti a sgolarsi sullo “sceriffo”, il “giustiziere”, che non ha “lasciato fare alle forze dell’ordine”, aggredendo in modo “razzista” un richiedente asilo che, poverino, “non poteva sapere che in questo Paese non si può violentare”.

Paradossalmente, lo strumento più idoneo per interrompere l’aggressione e arrestare l’autore senza un contatto fisico, ma solo con l’efficacia deterrente, sarebbe potuto essere un’arma da fuoco, il vero e proprio “demonio” di questi ultimi anni per gli stessi commentatori che oggi invocano il cittadino “sceriffo”. Vi rendete conto del paradosso?

Questa è la situazione, a oggi, in Italia. Allora, invece di fare domande surreali, cerchiamo prima tutti quanti di far pace con il cervello e di capire che cosa, veramente, si vuole dai cittadini.

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Fonte: armietiro
Stupro di Piacenza: si torna a chiedersi perché i cittadini non intervengono?