Pericolosamente vicini
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Pericolosamente vicini
Al momento dell’uscita e della proiezione lo abbiamo un po’ snobbato, pensando che sarebbe stato il solito sproloquio animalista in cui avremmo ritrovato le solite banalità. Poi una recensione letta per caso ci ha suscitato interesse, l’abbiamo voluto guardare ed eccoci qui a dire la nostra sul documentario “Pericolosamente vicini”, dedicato al complesso rapporto tra uomo e orso in Val di Sole. Il regista Andreas Pichler ha avuto coraggio nel mostrare colloqui, opinioni e sentimenti di persone che sarebbero state abbondantemente tagliate o travisate se fosse stato un lavoro guidato dai “soliti noti”. La sceneggiatura avvolge luoghi e ambiente, donando un’atmosfera mistica e profonda a tutta la Natura inquadrata. I boschi, le montagne, i prati in alta quota sono stati rappresentati in una magica visione. Il film inizia con la nottata in cui tutti gli abitanti di Caldes stanno cercando Andrea, che ormai manca da casa da troppe ore. Ed ecco che il bosco buio e profondo ritorna protagonista. Annunciando, con le grida apprensive dei suoi amici e concittadini, il ritrovamento di quello che rimane del suo corpo devastato. Risalta il dolore composto, ma terribile della mamma e del papà di Andrea. Non un pianto, non un gesto di eclatante protesta, piuttosto un vortice represso di disperazione e tragiche domande. Poi ci si imbatte in tutti coloro che lavorano nei boschi o nei parchi del Trentino, rappresentando efficacemente i sacrifici, la passione, la competenza e il dolore della perdita di alcuni orsi proprio nelle loro mani. Questo degli addetti ai lavori è una delle spiccate prerogative del film. Nulla si muove se non accompagnato dalla professionalità di veterinari e del capo coordinatore del settore grandi carnivori. Una posizione non facile, presi tra il proprio lavoro di protezione e gestione e le legittime istanze degli abitanti della zona, assieme agli allevatori. Dalla bocca dei forestali, è rappresentata anche la delusione di non poter intervenire dove si dovrebbe con la rimozione di esemplari notoriamente pericolosi, sopportando colpe non loro, ma dovute alle decisioni ben note dei vari tribunali. Anche gli abitanti della zona, assieme agli allevatori, denunciano le loro di difficoltà: oltre alla perdita degli animali, l’impossibilità di mettere in pratica sistemi risolutivi, al posto di rimedi meramente palliativi. Come imbarcarsi altre ore di lavoro, con freddo e pioggia, per istallare recinti elettrificati, smontarli e riposizionarli, aggiungendo lavoro faticoso a lavoro ancora più faticoso. Questo è molto di quello che il film mette in risalto. Altrettanto eclatante è l’ottusità animalista, impersonificata dalla Lav col suo presidente, che ancora una volta mette in primo piano qualunque orso, anche il più problematico, arrivando a paragonarlo al proprio orsetto che portava a letto da bambino. Molta teoria infarcita di menefreghismo nei confronti di chi con gli orsi ci deve vivere e relativi insulti, da parte degli oltranzisti, nei confronti di chiunque non sia pronto a sposare l’ortodossia ideologica.
Ecco, il film ruota su questi opposti: grande professionalità e interesse scientifico per la specie, contrapposti all’animalismo becero attaccato solo al singolo esemplare come fosse il gatto di casa o il proprio peluche. Un docu-film molto ben progettato, per far pensare tutti coloro che hanno buona volontà a come instaurare il giusto ed equilibrato interesse per la specie orso.
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Fonte: armietiro
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