La Cassazione sui “card knife”

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La Cassazione sui “card knife”

Con sentenza n. 33305 del 30 agosto 2024 (udienza dell’8 maggio), la sezione I penale della corte di Cassazione si è pronunciata circa la natura giuridica dei cosiddetti “card knife”, cioè quei coltellini ultrapiatti che possono essere portati nel portafoglio come normali carte di credito e che, poi, possono essere impugnati ripiegando la custodia in plastica che sta intorno alla lama.

Il ricorso è stato proposto da un cittadino che si era visto comminare dalla corte d’appello di Reggio Calabria una sanzione di 4 mesi di reclusione e 670 euro di ammenda per il reato di cui all’articolo 4 della legge 110/75, “per aver portato, fuori dalla propria abitazione, senza giustificato motivo, una lama appuntita e affilata in metallo, di centimetri 9 annessa ad un pezzo di plastica di colore nero di forma rettangolare che, chiudendosi, avvolgeva la lama facendone un coltello della misura complessiva di 14,5 centimetri”. La difesa ha dedotto, nel ricorso, due motivi, il primo puntando sul fatto che l’oggetto in sequestro fosse da considerarsi un’arma impropria secondo quanto disposto dalla seconda parte del secondo comma dell’articolo 4 della legge 110/75 e che, quindi, oltre alla mancanza del giustificato motivo, per avere rilievo penale il porto dovesse anche verificarsi in specifiche circostanze di tempo e di luogo tali da far presumere che si intendesse utilizzarlo per l’offesa alla persona. Il secondo motivo intendeva stigmatizzare la mancata estinzione del reato per fatto di lieve entità, evidenziando “le piccole dimensioni del coltello e il luogo di custodia dello stesso -all’interno del portamonete- quindi di non agevole e rapida apprensione”.

I giudici tuttavia hanno respinto il ricorso. Per quanto riguarda il primo motivo, hanno osservato che “la Corte territoriale, diversamente dalla prospettazione difensiva, ha fatto corretta applicazione del disposto normativo dì cui all’art. 4 legge n. 110 del 75 per quanto concerne l’elemento oggettivo del reato dal medesimo contemplato. Ed invero la lunghezza della lama (pari a 9 centimetri) e la presenza di un’estremità appuntita rendono non manifestamente illogica e immune da vizi di ogni tipo la conclusione cui è giunta la Corte di appello, nel reputare l’oggetto classificabile come vero e proprio coltello ai sensi di legge, trattandosi, comunque, di “strumento da punta e da taglio atto ad offendere”. Inoltre, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, in relazione agli oggetti da punta e da taglio, dunque veri e propri coltelli, l’intervenuta abrogazione del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 80 rende irrilevanti le dimensioni degli stessi (Sez. 4, n. 1482 del 22/11/2018, dep. 2019, Rv. 274976 – 01; Sez. 1, n. 13618 in data 22.03.2011, Rv. 249924, P., in fattispecie di coltello con lama di cm. quattro). Ancora, circa l’idoneità lesiva dell’arma impropria, si osserva che questa, in quanto qualificata in modo ineccepibile arma da taglio, deve senz’altro rinvenirsi nel caso di specie, come hanno concluso i convergenti provvedimenti di merito, stante l’univoca potenzialità di questa di arrecare danno”.

“Pari giudizio di manifesta infondatezza deve essere espresso in merito alla deduzione spesa dal ricorrente in ordine alla giustificazione del porto. Va rilevato come l’argomentazione contenuta tanto nel primo motivo dell’odierna impugnazione, quanto in quello dell’appello (l’uso dell’arnese utile durante escursioni, camping e attività boschive, caccia, pesca) non risulti essere stata fornita nell’immediatezza dall’imputato (cfr. p. 3 e 4 della sentenza di primo grado ove si rende conto che (omissis) non ha fornito alcuna giustificazione nemmeno durante il dibattimento, né ha riconnesso la detenzione ad attività lavorativa) e come non sia pertinente, nello specifico, perché il controllo da parte delle Forze dell’Ordine è avvenuto in circostanze di tempo e di luogo, specificate in punto di fatto (in centro cittadino, mentre l’imputato era a bordo di una vettura) che nulla hanno a che fare con l’attività descritta nel ricorso alla quale, in detta occasione, l’imputato non fece alcun cenno. Né lo stesso controllo, secondo la ricostruzione dei provvedimenti di merito, ha condotto al rinvenimento di altri attrezzi, tale da configurare, anche non nelle immediatezze del controllo, un’effettiva destinazione del coltello rinvenuto alle attività ricreative indicate nel ricorso. Peraltro, sul punto, occorre ribadire la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui “giustificato motivo”, rilevante ai sensi della legge n. 110 del 1975, art. 4, non è quello dedotto a posteriori dall’imputato o dalla sua difesa, ma quello espresso nell’immediatezza, in quanto riferibile all’attualità e suscettibile di un’immediata verifica da parte del personale operante (tra le altre, n. 19307 del 30/01/2019, Naimi, Rv. 276187 – 01Sez. 1, n. 18925 del 26/02/2013, Carrara, Rv. 256007)”.

In relazione alla scriminante per fatto di lieve entità, i giudici nel respingere il ricorso hanno considerato che “sulla mancata concessione di detta attenuante nel caso di specie la motivazione della Corte territoriale è sintetica ma immune da illogicità manifesta laddove, avuto riguardo al coltello rinvenuto, descrive un’arma da taglio particolarmente insidiosa, all’uopo valorizzando la lunghezza della lama. Inoltre, la motivazione, dopo essersi soffermato sulla condotta dell’imputato rimarcando che questi, mai nel proseguo, ha fornito giustificazioni del possesso, esclude con ragionamento lineare e immune da vizi, la fattispecie attenuata sulla base, altresì, delle circostanze di tempo e di luogo del fatto, tratte dalle modalità di occultamento (sulla persona, nel portamonete), indicando detta modalità come profilo di pericolosità ulteriore”.

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Fonte: armietiro
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